I Cavalieri di Sant'Eusebio


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Storia

Il Romitorio


I resti della chiesa di S. Eusebio e delle sue adiacenze si trovano poco più a nord della frazione Mastri, in un’area delimitata ad est dalla ex SS 460 che collega le valli del Canavese con Torino e ad ovest da Via S. Eusebio, l’antica strada di collegamento tra Mastri e Feletto.
La chiesa ad aula unica con abside semicircolare rivolta a oriente è un edificio di modeste dimensioni, che ripropone l’impianto tipico delle chiese rurali già nella prima fase di cristianizzazione delle campagne. A livello locale, il luogo è conosciuto come
l’Armit, poiché si tramanda che lì vivesse un eremita dedito ad offrire ospitalità ai viandanti di passaggio. La tradizione si fonda probabilmente sulla funzione di snodo viario assunta per secoli dal territorio canavesano, che collegava la zona alpina con la pianura. Nello specifico, poi, Feletto era inserito nel tracciato dalla via romea che da Bairo raggiungeva Rivarolo e Ozegna per proseguire verso S. Benigno e Torino; si trattava evidentemente di un percorso di rilievo locale, ma che doveva essere costantemente battuto.
Il documento più antico, attualmente noto, che riguarda il sito felettese è datato 1176; con tale atto, S. Eusebio, insieme alle sue pertinenze e ai suoi possedimenti, viene formalmente ceduta dal vescovo Gaimaro d’Ivrea alla chiesa di S. Egidio di Verrès e dei SS. Nicola e Bernardo di Colonna Giove (nelle fonti antiche,
Columna Iovis), allo scopo di provvedere ai bisogni dei viaggiatori indigenti. È possibile che la concessione del presule eporediese, appartenente alla famiglia consolare dei Solero, fosse finalizzato a garantire collegamenti privilegiati con la regione aostana, attraverso la quale transitavano beni di fondamentale importanza per l’economia di Ivrea, prime tra tutti le mole da macina. In ogni caso, la donazione è vincolata dal pagamento annuale all’episcopato delle decime sui novali e del sinodatico. In questo modo, Gaimaro mantiene un controllo su S. Eusebio, non solo di tipo economico tramite il versamento di parte del ricavato dai nuovi terreni messi a coltura, ma anche di tipo giurisdizionale: l’esigua cifra dell’imposta sinodale, quattro denari, ha perlopiù un valore simbolico, di sottomissione e devozione alla cattedra vescovile.
Il documento del XII secolo tramanda anche un dato interessante per la contestualizzazione ambientale di S. Eusebio: la chiesa è collocata nel territorio di Feletto, «ad locum qui dicitur insula». Nel latino medievale dell’epoca, l’espressione indicava un luogo circondato da corsi d’acqua, naturali o artificiali; sebbene l’idrografia del territorio necessiti di studi più approfonditi, almeno un documento di epoca successiva testimonia la presenza di un
ritanus di S. Eusebio. Resta da capire se l’area fosse in origine acquitrinosa o già attraversata da rogge (tenendo presente anche la vicinanza del torrente Orco), quando sia stato costruito il sistema di irrigazione, e se ciò sia avvenuto nell’ambito delle bonifiche fruttuariensi o in epoca precedente.
Le successive vicende di S. Eusebio si intrecciano con la storia dei rapporti tra l’abbazia di Fruttuaria e la prepositura valdostana di S. Egidio. Tra il 1181 e il 1182, i religiosi di S. Benigno vendono ai canonici di Verrès, nella persona del prevosto Valberto, tutti i beni posseduti nella Valle e nella diocesi di Aosta al di sopra di Bard, per la cifra di quattrocento ottanta denari secusini. Inoltre, nell’ambito di queste trattative, i benedettini di S. Benigno cedono le chiese di S. Lorenzo a Chambave e di S. Martino ad Arnad, a fronte del pagamento annuo di un censo pari a dieci soldi secusini. L’accordo viene suggellato con una solenne cerimonia alla presenza del presule aostano e dell’arcivescovo di Tarantasia, e nel 1183 il pontefice Alessandro III riconoscerà formalmente l’atto di donazione.
Tuttavia, tra i due monasteri sorge una controversia per il possesso delle chiese di S. Lorenzo a Chambave e di S. Martino ad Arnad, e per risolverla, nel 1228, il capitolo di S. Egidio si impegna a versare ai monaci fruttuariensi cinquanta lire, unitamente alla cessione di S. Eusebio di Feletto. Nel 1277 la questione trova una soluzione definitiva e la chiesa canavesana entra stabilmente nei possedimenti del monastero di S. Benigno, che già vantava diritti signorili su tutto il territorio di Feletto.
A metà Ottocento Antonio Bertolotti visita il paese e ottiene dal sagrestano della chiesa parrocchiale di vedere la cappella di S. Eusebio, ma l’erudito non fornisce descrizioni dell’edificio. La guida afferma che, stando ai registri catastali, la chiesa è stata costruita nel 1689 dal soldato tedesco Giovanni Rosmajor, originario di «Hiberlenga». Tuttavia, Bertolotti ritiene plausibile che si tratti di una seconda ricostruzione, poiché gli è noto il documento del 1176 che implica una fondazione della chiesa ben più remota. In effetti, l’ipotesi dello storico di Lombardore è confortata non solo da un esame sommario della muratura del campanile, ma anche da un ritrovamento avvenuto nel corso dei recenti restauri; sulla sommità della torre campanaria è stato rinvenuto un mattone che riporta la data 1661, preceduta dalla scritta, per la verità non di facile lettura, «Cav. i. Gio.». La lettera ‘i’ potrebbe essere l’iniziale di
Ierosolimitanus e quindi sarebbe verosimile mettere in relazione tale riferimento con la rosetta scolpita accanto alla finestra sotto il timpano della facciata, oggi solo più apprezzabile in fotografia. L’ipotesi che il personaggio tedesco facesse parte dell’Ordine Gerosolimitano, tradizionalmente a vocazione ospedaliera e con presenze documentate nella zona, è suggestiva, ma necessita di più solidi riscontri.
Dunque, Giovanni Rosmajor, originario di Uberlingen (Germania), sul Lago di Costanza, deve aver ricostruito la chiesa su precedenti rovine, nel luogo davanti al quale il suo cavallo si sarebbe fermato rifiutandosi di proseguire. A prescindere dalle leggende locali, sarebbe utile capire per quale motivo S. Eusebio sia stata nuovamente edificata e quanto rimanesse all’epoca dell’edificio precedente. In effetti, risultano da chiarire i motivi che determinarono il progressivo degrado della chiesa e degli ambienti circostanti, se ciò sia stato dovuto ad un abbandono volontario legato magari allo sfruttamento delle risorse, a distruzioni violente o a cause di altre tipo.
Al culmine della progressiva decadenza della signoria di Fruttuaria, nel 1741 il pontefice Benedetto XIV rinuncia al controllo temporale dell’abbazia e Feletto passa sotto il dominio dei Savoia. Ciò pone le basi per l’estensione definitiva della giurisdizione diocesana sulle suddette terre. Tuttavia, i resoconti delle visite pastorali ottocentesche, quando ancora rintracciabili, non forniscono indicazioni utili per ricostruire la storia di S. Eusebio. L’unica segnalazione interessante è contenuta in un dossier di risposte fornite dal prevosto Antonio Ferrero, parroco di Feletto, al questionario propostogli dal presule eporediese Mons. Davide Riccardi, per accertarsi dello stato della comunità, in occasione della visita pastorale del 1879. Nel documento, datato 28 febbraio 1880, S. Eusebio è brevemente descritta tra le chiese minori e le cappelle private della parrocchia: «Ad un chilometro dall’abitato al Sud Ovest trovasi la cappella di S. Eusebio con piccolo fabbricato di spettanza della comunità la cui origine risale a remotissima antichità. Ha un sol altare, vi si celebrano due messe lette 16 dicembre d’ordine della comunità. Trovasi il tutto in stato pessimo e rovinoso».
Il breve accenno al luogo di culto rende conto del degrado avanzato della struttura già sopravvenuto all’epoca, ma allo stesso tempo la celebrazione di due messe in un particolare giorno dell’anno liturgico per volere dei fedeli prova che S. Eusebio doveva aver avuto un ruolo di qualche rilievo nella vita religiosa della comunità. In effetti, secondo il Messale Romano Tridentino in uso prima del Concilio Vaticano II, il 16 dicembre si celebrava la festa di sant’Eusebio vescovo e martire.
Nonostante l’individuazione di alcuni punti fermi nella storia di S. Eusebio di Feletto, rimangono ancora molte lacune da colmare. Sarà dunque utile approfondire le ricerche d’archivio, confrontandole con i dati che potrebbero emergere durante il prosieguo dei lavori per il recupero conservativo.

Il testo è un riassunto dell’articolo S. SILVA,
La chiesa di S. Eusebio a Feletto Canavese: note preliminari ad uno studio sistematico, in «Bollettino dell’Associazione di Storia e Arte Canavesana», n.11 (2011), pp. 49-59.


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